Desiderio
di Luca Crapanzano
Desiderare è tendere ad un compimento già in parte posseduto. Posso desiderare solo ciò che già intravedo e sperimento come inizio di qualcosa che si completerà. I due termini che compongono la parola latina desiderio, de-siderium, dicono infatti da un lato la mancanza di qualcosa (de che esprime separazione, mancanza) e dall’altro la promessa di qualcosa di alto siderium (derivato di sidus che significa stella).
Il desiderio inquieto dell’uomo che non è mai pago, se da un lato può rivelare la voracità del suo cuore, dall’altro gli mostra la sua altissima natura e vocazione. Ogni cosa desiderata e poi raggiunta, infatti, non acquieta mai del tutto il desiderio profondo di ogni uomo: il desiderio esprime il di più di cui è composto l’uomo. Fa paura fare esperienza di una qualità che non si capisce del tutto e che non possiamo circoscrivere soltanto all’interno del raggio della ragionevolezza, come il caso del desiderio.
La filosofia antica e principalmente l’epicureismo e la scuola cirenaica, hanno valutato il desiderio o come qualcosa di totalmente negativo da rifuggire contro una certa imperturbabilità (l’atarassia dell’epicureismo) o come unica meta da soddisfare a tutti i costi (la soddisfazione dei cirenaici). Il cristianesimo fa del desiderio la molla iniziale per incontrare Dio, che tuttavia resta sempre di più rispetto ad ogni pretesa di possesso.
La deriva del desiderio starebbe nel confonderlo con il bisogno immediato del possesso (desidero avere…) e della necessità di un bene che diventa oggetto. La pienezza e la maturità del desiderio la si ha nell’umiltà di sostare al limen della realtà desiderata, rispettosi di una realtà misterica.
Luca Crapanzano è vicerettore del seminario maggiore della mia diocesi di Piazza Armerina (Enna), docente di teologia morale presso l’ISSR “Mario Sturzo” di Piazza Armerina” e delegato diocesano per il 5° Convegno EcclesialeNazionale.