parole dell'umano

Fedeltà

di Stefano Biancu

Al pari della pazienza e della perseveranza, la fedeltà è una virtù del tempo: ovvero una virtù che ci permette di abitare il tempo, di non essere sempre irrimediabilmente assenti quando il tempo è presente (A.J. Heschel).

Come la pazienza, la fedeltà è la rinuncia a un giudizio tarato soltanto sui nostri bisogni immediati, sulla saturazione presente del desiderio. Ma ha un oggetto suo proprio: si rivolge infatti in particolare alle persone alle quali ci siamo legati. La fedeltà è dunque la rinuncia a mettere l’altro continuamente alla prova del nostro desiderio. Essa – ha scritto Romano Guardini – è una forza che vince il tempo: non al modo di una pietra dura che resiste a tutte le intemperie, bensì al modo di qualcosa di vitale che continuamente cresce e crea.

L’esercizio della fedeltà, così come quello della pazienza, non è dunque un immunizzarsi rispetto alla vita, ma la rinuncia a mettere continuamente alla prova l’altro al quale ci si è legati per verificare se sia (ancora) all’altezza delle nostre aspettative. Per dirla con Kierkegaard, la fedeltà è un amore che ha subito il mutamento dell’eternità con il diventare dovere: un amore – vale a dire – che si è affrancato dalla mera possibilità e ha scelto di esistere per sempre, rinunciando a sottoporre l’amato a prove ulteriori. Un amore che, grazie a questa trasformazione, è dunque divenuto capace di persistere, cacciando via ogni angoscia e salvandosi, così, dalla disperazione: nel tempo della felicità e in quello dell’infelicità, nel tempo della promessa e in quello tempo della sfida.

«La fedeltà – ha scritto ancora Guardini – ha in sé qualcosa dell’eternità». Essa è la capacità di ritrovare, anche nel tempo della crisi, della sfida e della “rottura”, la promessa di una relazione possibile: diversa da quella precedente, ma non meno profonda. Forse più profonda.

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