ragioni dell'umano

L’umanesimo di Charles Journet

di Samuele Pinna

«L’accesso all’umano si rinviene imparando a inscrivere nel volto di Cristo Gesù tutti i volti, perché egli ne raccoglie in unità i lineamenti come pure le cicatrici»: partire dal volto, unito alla figura, di Cristo è un suggestivo suggerimento della “Traccia” del Convegno ecclesiale. Dal volto di Gesù, inoltre, si passa a quello della Chiesa che osserva, anzi contempla, i volti dell’umano, di tutti gli uomini di ogni epoca. Nasce, dunque, una domanda che verte su come si possa inserire la Chiesa in un discorso sull’umano a partire dalle sfaccettature che la “Traccia” propone (un umanesimo in ascolto, un umanesimo concreto, un umanesimo plurale e integrale, un umanesimo di interiorità e trascendente): cosa può offrire la Chiesa all’uomo di oggi ? Può aiutare a rispondere a questi quesiti il teologo Charles Journet (1881-1975), il quale è stato – secondo il cardinale Giacomo Biffi – «uno degli ecclesiologi più equilibrati e suprannaturalmente acuti del ventesimo secolo».

Un corretto discorso sulla Chiesa può essere di aiuto per parlare dell’uomo, non mediante una trattazione puramente teoretica, ma reale, che tenga cioè conto del disegno divino e della storia della salvezza. Tuttavia, per parlare della Chiesa è necessario riferirsi subito a Cristo, poiché Essa è tutta relativa a Lui e non esisterebbe, né avrebbe senso di esistere, se non nel Signore Gesù. Journet, grazie alla sua profonda conoscenza del mistero della Chiesa, è una guida sicura per illuminare la nostra riflessione.

L’aspetto cristocentrico dell’umano

La Chiesa, come ricorda il Concilio Vaticano II, è un sacramento universale di salvezza e si associa all’atto di redenzione operato da Gesù Cristo. «Se parliamo dell’ “Incarnazione redentrice” – afferma Journet –, è precisamente per unire in un’unica espressione i due momenti dell’atto unico col quale il Verbo salva il mondo, prima venendo nella nostra carne, quindi completando la pacificazione di tutte le cose col sangue versato sulla croce». La Chiesa è, dunque, l’insieme dei salvati: il cristiano deve ricordarsi che solo nella comunione con il Signore partecipa della Chiesa in modo salvifico e non solamente da un punto di vista di comportamento sociale. Nel momento in cui il cristiano vive in stato di peccato necessità la misericordia di Dio mediata dalla Chiesa, la quale è sempre senza peccato ma non senza peccatori. Parlare dell’umano, quindi, significa rilevare come costitutivo, e non semplicemente accessorio, il legame con Cristo, ossia – come suggerisce il cardinal Angelo Scola – «avere il pensiero di Cristo e condividerne i sentimenti».

JournetL’uomo ha bisogno di questo rapporto con il Risorto, che si può dare soltanto nella Chiesa, la quale non può essere ridotta a semplice istituzione, ma che porta in sé il carattere del mistero salvifico. Un mistero che fa progredire il progetto di Dio sull’umanità, piano – quello divino – teso alla piena realizzazione dell’uomo (la sua gioia piena, la beatitudine eterna). Per questo Benedetto XVI afferma che «non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana».

Journet traccia nella sua ecclesiologia, alcuni fondamenti, che possono essere la base delle discussioni del Convegno stesso. La discesa del Verbo incarnato nel tempo segna, indelebilmente, l’avvento di un mondo nuovo, in cui tutte le creature sono chiamate a rinascere una seconda volta, dall’alto, in conformità al Figlio. L’umanità redenta si unisce in modo indissolubile al suo Signore. È l’umanità tutta intera – scrive Journet – che è «sposata da Cristo, è lei tutta intera che è invitata a venire alle nozze. Ma è nella misura solamente in cui risponde all’invito e in cui le nozze con il Cristo si consumano, che l’umanità diviene veramente la Sposa e che prende il nome di Chiesa. Dimodoché per guardare non più alle possibilità, ma alle realtà, non più all’aspetto virtuale ma all’aspetto attuale, occorrerà dire che la Sposa è solo la Chiesa, e non l’umanità tutta intera». La Chiesa, in tale prospettiva, è unita in modo unico a Cristo, il quale la nutre con un grande amore e si sacrifica per lei. Se la Chiesa è plasmata a immagine di Cristo e forma con lui una sola cosa, se lo Sposo ama la Sposa, la nutre come fosse il proprio corpo, si intuisce come non possa essere separata dal suo Signore. «Così considerata – è ancora Journet a parlare –, la Chiesa forma un tutto. Il Cristo non è identificato, nemmeno da una funzione propria; non è incorporato a lei a titolo di membro, di parte integrante; è già nella gloria del cielo, è ancora nelle prove del tempo. Tuttavia, non è separata da Lui; gli è strettamente unita; rimane distinta e dipende da lui, alla maniera in cui come l’effetto resta distinto e dipende dalla causa propria che lo sostiene nell’esistenza». Secondo la Scrittura, inoltre, la Chiesa e il Cristo formano insieme un solo organismo: un unico Corpo unito al Capo, una sola persona, ovvero il Cristo totale: «il Cristo – scrive Journet – s’incorpora l’umanità per fare con essa una sola persona mistica, il Cristo totale». Questo mistero di unione viene spiegato da Journet mediante l’immagine evangelica della vite e dei tralci: «la vite ha la stessa natura dei rami, comunica con loro costantemente la sua vita di verità e di amore, ma può essere danneggiata dalla libertà dei rami stessi».

L’aspetto ecclesiologico per l’umano

Se il rapporto costitutivo della Chiesa e, quindi di ogni cristiano, è con Gesù Cristo, Journet con sorprendete lucidità attesta come la Chiesa, per mezzo dello Spirito Santo, di cui essa è sede, redime il mondo due volte. Non c’è, pertanto, solo un’accettazione nel credente, che riceve la grazia da Dio, ma anche una dinamicità che possiamo chiamare – oggi – evangelizzazione. La Chiesa redime il mondo, scrive Journet, «divinamente ed eternamente, trasformando in ogni momento, con la fiamma del suo amore vivente nel cuore dei suoi figli fedeli, il peccato in grazia, le defezioni in conversioni, le bestemmie in azioni di grazie, gli scandali in suppliche». Questa redenzione del mondo la Chiesa l’opera sempre: l’amore è ciò che lega i credenti, anzi è la «sua stessa essenza e la sua stessa esistenza». Journet ritrova nell’amore il cuore stesso della Chiesa, la sua anima creata: il cristiano allora sa che può vivere della carità soltanto in Cristo, poiché è Lui ciò che dona la grazia. Un umano davvero tale non può prescindere dall’amore, che diviene vero e liberante soltanto in una comunione con la Trinità intera.

La Chiesa, inoltre, redime il mondo anche umanamente e culturalmente: «essa non troverà riposo finché i valori evangelici che ricolmano il suo cuore non saranno riflessi nel temporale, e finché le culture, che essa incontra e che vuole illuminare, come si illuminano le nubi che passano sotto il sole, non siano divenute, sotto la sua influenza purificatrice, pienamente umane». Di là da ogni visione oppressiva sul mondo, Journet vede lo sforzo incessante della Chiesa come quello «di sollevare le culture al di sopra di se stesse, e di spingerle verso un avvenire migliore». Questa seconda redenzione del tempo è, secondo Journet, «sempre estremamente imperfetta». Ecco la necessità, che diventa occasione nel Convegno di Firenze, di fermarsi a pensare strategie culturali e pastorali per poter annunciare il Vangelo in modo sempre più efficace. Queste non porterebbero, però, frutto se non riconoscendo anzitutto il primato di Dio e la mediazione salvifica e santificatrice della Chiesa, nel riconoscere cioè, con fede e umiltà, come sia il Signore a condurre la storia, Lui che è via, verità e vita.

Infine, il Convegno ecclesiale può essere davvero un momento di meditazione perché, come scrive Maritain citato da Journet, «un umanesimo realmente cristiano non immobilizza l’uomo, per il bene come per il male, in alcun momento della sua evoluzione; sa che non solo nel suo essere sociale, ma nel suo essere interiore spirituale, l’uomo non è che un abbozzo notturno di se stesso, e che prima di raggiungere la propria figura definitiva – dopo il tempo – dovrà passare attraverso molti mutamenti rinnovamenti».


don Samuele Pinna, dottore di ricerca in teologia e sacerdote dell’Arcidiocesi di Milano

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