parole dell'umano

Misericordia

di Chiara Giaccardi

La misericordia è una sorta di universale trans-religioso. Nell’Islam, per esempio, il primo dei novantanove nomi di Allah è proprio al-Rahmān, il Misericordioso. Un aggettivo che deriva da rhm, radice che si ritrova anche nella parola ‘utero’ o ‘grembo’: per antonomasia, il luogo della vita e della protezione, dell’armonia e della pace.

Una volta usciti da quel riparo siamo esposti al male e alla morte. Un male di cui spesso siamo corresponsabili, che non possiamo vincere con le nostre forze.

Ecco che allora la misericordia è quel grembo che ci fa rinascere, quella comunione cui ci possiamo affidare e che ci ricostituisce come interi: che ci schioda dal non-tempo equivalente e ripetitivo del peccato e ci reimmette nel tempo della salvezza.

Che cosa c’è di ulteriore e di nuovo nella misericordia di Gesù? Lo si può dire con quattro verbi: incontrare, toccare, perdonare, ri-generare.

Lo specifico del cattolicesimo è l’incarnazione. Gesù, vero uomo e vero Dio, è mediatore perfetto tra cielo e terra. La sua venuta dice appunto che ‘la terra è fatta di cielo’, con le parole di Pessoa. Se la novità è il Dio che si fa carne per salvarci, l’annuncio non può essere disincarnato. Per questo, la buona notizia, rivolta a ciascuno di noi, passa prima di tutto dall’incontro: Gesù non lo si trova nei templi, non lo si prega in assenza, ma lo si incontra sulle strade della vita quotidiana. Il Vangelo è un un certo senso un racconto di incontri: la samaritana, il giovane ricco, Nicodemo, l’emorroissa… Come in ogni narrazione, ognuna di queste scene ci interpella. Ci porta a chiederci: ‘e io chi sono’? In chi mi riconosco?

Ogni parola di Gesù è detta a qualcuno, nella sua unicità, nella cornice di un tempo e un un luogo precisi. Ma, proprio perché passa dalla vita e parla della vita, è anche detta a ciascuno di noi, nel nostro qui e nel nostro ora. E parla alla nostra ferita, al nostro bisogno di essere guariti.

L’incontro non ha bisogno necessariamente delle parole: ciò che conta è il desiderio di incontrare ed essere incontrati. Emblematico è l’episodio dell’emorroissa: lei sapeva che per incontrare Gesù bastava toccarlo, il che voleva dire essere toccati, perché il tatto è il senso della reciprocità. E tanto basta.

Gesù si lascia toccare (pensiamo a Maddalena che lo unge di olio profumato) e tocca: spalma fango sugli occhi, prende per mano e fa rialzare chi pareva morto. È solo dentro questo legame, che non può che passare dalla corporeità – non pura materialità, ma carne trasfigurata, simbolo della nostra unità e pienezza – che può accadere il miracolo della misericordia.

Un miracolo attraversato dal perdono: questo ‘di più’ della legge che non la nega ma, riaffermandola, ci libera con l’amore dalla schiavitù del peccato; questo ‘donoper‘ amore, che dice di un’eccedenza e di una libertà che nessun precetto può prescrivere; questa logica paradossale dell’ ‘avete sentito, ma io vi dico’ e del ‘vai e non peccare più’ che immette novità ed energia nel mondo, sbloccando i circuiti autoreferenziali della stagnazione e della coazione a ripetere che il peccato istituisce, consentendo di rinascere a vita nuova.

La misericordia è il grembo che accogliendoci nell’amore e offrendoci il perdono ci rimette al mondo come esseri rinnovati.

Non solo: ci ‘abilita’ a diventare messaggeri della speranza di rinascita.

Con le parole di Papa Francesco: ‘Dio perdona non con un decreto, ma con una carezza, carezzando le nostre ferite del peccato. E’ grande la misericordia di Dio, è grande la misericordia di Gesù. Perdonarci, carezzandoci!”.

Solo perché siamo stati accarezzati, possiamo a nostra volta portare la carezza della rinascita.

da Messaggero di sant’Antonio, aprile 2015

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