parole dell'umano

Perdono

di Stefano Biancu

Avvertiamo qualcosa di disumano in quelle domande che i giornalisti immancabilmente rivolgono a bruciapelo alle vittime di una violenza o ai loro familiari: “Ha perdonato?”. Sono domande disumane perché non rispettano il legame, stretto ed essenziale, che il perdono intrattiene con il tempo.

Il perdono non è semplicemente una decisione istantanea e immediata. Esso è, al contempo, un processo e un risultato: consiste nella decisione conscia di iniziare un processo il cui risultato finale è quello di dimenticare l’offesa e – se sarà possibile – di ripristinare la relazione con chi ci ha offesi, come se l’offesa non ci fosse mai stata. Più che una decisione istantanea e ineffabile (fuori dal tempo), il perdono è dunque la decisione di iniziare un processo che si dispiega nel tempo, ma il cui risultato non è affatto garantito a monte. (A. Margalit). Il perdono, dunque, implica e richiede tempo, a più livelli.

Innanzitutto, la decisione di perdonare non giunge dal nulla, ma è l’esito di un processo interiore che richiede tempo: talvolta molto tempo.

La decisione stessa è poi comprensibile come la volontaria determinazione di dare tempo al perdonato: coincide con il rifiuto di fermare la sua storia personale all’istante dell’errore e della colpa. È l’avvio di un processo che dunque richiede tempo (al perdonante), ma che anche ne offre (al perdonato). Dà fiducia al tempo, proprio e altrui.

In questo senso, il perdono è comprensibile come la rinuncia a fare dell’istante della colpa il criterio per un giudizio complessivo sull’intero del tempo (di quello proprio e di quello altrui): è un dare tempo al tempo. Perdonare equivale infatti a dare tempo a se stessi, rinunciando a fare del tempo della colpa (subita) il criterio generale per un giudizio sull’intero senso del proprio tempo; ma significa anche dare tempo all’altro, all’offensore, rinunciando a fare del tempo della colpa (inferta) il criterio generale per un giudizio sull’intero del (suo) tempo. Tale decisione di dare tempo al tempo (proprio e altrui) richiede tempo e vive nel tempo.

Non fermandolo all’istante della colpa, il perdono accorda fiducia al tempo e – così facendo – lo libera e lo rigenera. In qualche modo rinnova il tempo.

Tutto il contrario la vendetta: proprio perché diffida del tempo e delle sue possibilità, la vendetta sceglie di dire l’ultima parola. Essa condivide con il perdono il fine di non lasciare che l’offesa rappresenti l’ultima parola. Ma mentre la vendetta pone se stessa quale ultima parola, il perdono è la rinuncia radicale a imporre un’ultima parola (O. Abel): dà fiducia al tempo e alla storia, rinunciando a determinarne il senso complessivo. In questo modo, pone le condizioni perché il tempo e la storia – personali e collettive – ripartano. Si fida del tempo: lo fa a proprio rischio e pericolo, ma sapendo di non avere alternative.

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