parole dell'umano

Perdono

di Tonino Ceravolo

Il concetto di perdono – come ricorda Paul Ricoeur – è «semanticamente accostato al dono in molte lingue»: pardon in francese, Vergebung in tedesco, forgiving in inglese (Ricoeur, Ricordare, dimenticare, perdonare. L’enigma del passato, il Mulino, 2004, p. 113). Analogamente, Enzo Bianchi evidenzia che perdonare altro non significa se non “donare totalmente”: «Nel perdono c’è la perfezione del dono, c’è il donare fino all’estremo, fino in fondo […]. Perdonare richiede dunque un sacrificio di se stessi in rapporto all’altro: si perdona affinché l’altro possa vivere, e vivere non schiacciato dalla colpa» (Bianchi, Dono e perdono. Per un’etica della compassione, Einaudi, 2014, p. 37).

Dono totale e completo di sé all’altro, il perdono, se autentico e non banalizzato, se non puro flatus vocis, non è facile, richiede un profondo lavoro interiore, un corpo a corpo faticoso con ciò che più sembra connaturato alla natura umana: il desiderio della vendetta, il risentimento per l’offesa subita, il rancore dinanzi al male ricevuto. Il perdono esige, invece, di abbassare la guardia, di dismettere le difese, di assumere, in un certo senso, il punto di vista dell’offensore. Estremo gesto di altruismo, si sottrae alla logica dello scambio, del do ut des, della reciprocità. Perdonare veramente vuol dire non aspettarsi nulla dall’altro, non rimanere in attesa di qualche riparazione, di qualche balsamo che lenisca e guarisca la ferita.

Da qui lo “scandalo” del cristianesimo, la “pietra d’inciampo” con la quale è indispensabile fare i conti. Amare coloro che ci amano è semplice, in sommo grado piacevole e, però, non c’è merito, non c’è fatica, non comporta alcun esercizio di trasformazione del proprio io. È ancora Ricoeur a ricordarlo: «L’amore dei nemici è la misura assoluta del dono, alla quale è associata l’idea di prestito senza speranza di ritorno» (Ricordare, dimenticare […], p. 115).

Forma suprema della rinuncia a se stessi, il perdonare, tuttavia, non implica per l’uomo un impossibile oblio, una rimozione del passato così completa e radicale da annullarlo in una placida dimenticanza. Il perdono non cancella il ricordo del male accaduto, ma lo pone nell’ottica della “comprensione evangelica”, del Dio misericordioso che perdona i peccati al di là dei meriti del peccatore e che esige dai suoi figli la capacità del perdono fino a «settanta volte sette» (Mt 18,22), senza riserve mentali e senza limiti temporali: «Perdonare – scrive Enzo Bianchi – è una vera conversione da attuare in se stessi: il perdono non nasce dalla conversione di colui che ha offeso, ma nasce dalla conversione di chi ha ricevuto l’offesa. È la vittima che deve convertirsi: questa la portata scandalosa del perdono!» (Dono e perdono […], p. 59).

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