parole dell'umano

Simbolo

di Stefano Biancu

Siamo animali simbolici, viviamo di simboli. Questo è evidente nelle culture arcaiche, nei primitivi, nei bambini, nei pazzi. Ma vale anche per noi, individui sani, adulti, civilizzati del moderno Occidente. Lo scambio dei doni, la comunicazione pubblicitaria, l’incontro tra persone mediato da cose e gesti concreti sono tutti indizi evidenti del fatto che siamo degli animali simbolici. I cristiani la domenica si ritrovano a giocare simbolicamente le lodi del Signore: segno che il nostro essere animali simbolici, la parte più elementare della nostra vita, ci consente di accedere alla parte più alta della nostra esperienza umana, quella spirituale. Non a caso è stato scritto che il gioco – attività essenzialmente simbolica – «sa innalzarsi a vette di bellezza e santità che la serietà non raggiunge» (J. Huizinga).

E tuttavia difficilmente sapremmo dire che cos’è un simbolo. Spesso lo confondiamo con il segno. Ma segno e simbolo non sono affatto la stessa cosa, e rispondono anzi a due logiche differenti.

Dovendo veicolare dei significati, il segno opera secondo una logica strumentale, una logica economica di necessaria funzionalità a uno scopo: scopo che, finalmente, è la comunicazione e la trasmissione di un significato, di una informazione. Per il perseguimento di tale scopo è ammesso un dispendio minimo di risorse. Il segno funziona dunque secondo una logica del minimo necessario: tutto ciò che è in più, è considerato di intralcio allo scopo. L’esempio forse più evidente è quello di un cartello stradale: una volta decodificato e tradotto in concetti (“qui non devi parcheggiare”) il segno ha esaurito la sua funzione.

La logica soggiacente al funzionamento simbolico risponde invece a un principio opposto, che è quello del “massimo gratuito” (A. Grillo). Non avendo significati da comunicare, il simbolo è piuttosto interessato a istituire esperienze, relazioni e legami senza alcuna particolare utilità concreta: ti dice chi sei e ti colloca in una relazione, in orizzontale e in verticale. Ogni simbolo vive così in una logica di spreco apparente, di ridondanza gratuita, di “inutile” eccesso.

In questo modo, il simbolismo rompe l’assetto di un rapporto col mondo di tipo esclusivamente strumentale: nel campo del conoscere, del comunicare, del produrre. Percorre la strada lunga (e antieconomica) del rapporto con un mondo riconosciuto come irriducibile a un insieme di meri oggetti inerti e di individui isolati. Infrange così le pretese di un soggetto che si autocomprende signore assoluto di se stesso e del mondo che lo circonda. In una parola: il simbolo ci lega alla terra e ci apre al cielo. Ci rende umani.

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