parole dell'umano

Testimone

di Chiara Giaccardi

Podcast Il pensiero del giorno (RadioUno, 22 marzo 2015)

«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». Una frase di Paolo VI, al N. 41 della Evangelii Nuntiandi, che mai come oggi si rivela attuale. Oggi che i maestri sono i guru del momento, e più che i testimoni abbondano i testimonial.

Ma come distinguerli? Intanto il testimonial ha un vantaggio, economico e di immagine, per il ruolo che esercita, e può farsene un vanto. Il testimone invece è più spesso un martire (martyr in greco vuol dire appunto testimone), che anche quando non subisce un supplizio è comunque in una situazione di lacerazione: rispetto al mondo, perché va controcorrente; e rispetto a se stesso, perché sa che la sua fedeltà alla verità è sempre inadeguata, e rischia sempre di tradire ciò che vorrebbe servire . È quello che Michel de Certeau chiama il “dramma” del testimone, e che descrive con queste parole: «Non oserei mai parlare da testimone. Che cosa è infatti il testimone? Colui che altri designano in questo modo. Quando si tratta di Dio, il testimone rimane sempre mentitore; sa bene che, senza poter parlare diversamente da come fa, nondimeno tradisce colui di cui parla. È continuamente superato e dunque in un certo senso condannato da quanto attesta. Mancherebbe allora alla verità se si presentasse immediatamente come testimone».

Non possiamo non parlare, dunque, ma sapendo la nostra inadeguatezza. Questo paradosso ci consegna alla parola di cui ci facciamo indegni portavoce, rendendoci messaggeri anziché enunciatori. Così ci rimettiamo agli altri, i soli che sapranno attestare, al di là delle nostre parole e intenzioni, la nostra capacità di testimoniare, pur nella nostra povertà. In ogni caso, senza la relazione (con la Parola, la verità, gli altri, l’Altro), che ci regala la consapevolezza del limite e l’umiltà, non può esserci testimonianza.

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