Vulnerabilità
di Chiara Giaccardi
Podcast Il pensiero del giorno (RadioUno, 25 gennaio 2015)
Vulnerabile è chi reca in sé una ferita, ma anche chi più di altri è soggetto a riceverla. Chi è esposto, senza corazza, indifeso. Vulnus, la ferita che ci rende vulnerabili, è uno squarcio nella nostra superficie, nella nostra stessa pelle; uno squarcio che ci svuota, una menomazione dolorosa che può essere letale; ma anche una “feritoia”, un taglio che rompe la corazza dell’Io (come i tagli di Lucio Fontana rompono l’uniformità monocroma delle sue tele). La corazza si apre così all’esterno e all’alterità, lascia passare una luce nuova, che altrimenti non troverebbe un varco; lascia intravvedere un oltre, che altrimenti resterebbe celato.
Il filosofo George Bataille si spinge fino ad affermare che senza ferita non può esserci rapporto con Dio e che le ferite di Gesù sulla croce sono, appunto, la soglia di questo passaggio.
La ferita è la soglia tra l’interno e l’esterno. Con dolore, ci impedisce comunque di restare murati in noi stessi, e morire di autoreferenzialità. La sua evidenza interpella chi ci sta di fronte, sollecitandolo a farsi Samaritano e prossimo, che pur avendo la libertà di percorrere la via dell’indifferenza sceglie di fermarsi, chinarsi, fasciare, rassicurare con la tenerezza.
La vulnerabilità non è un difetto, una mutilazione dell’io tutto d’un pezzo che non deve chiedere nulla a nessuno. Una debolezza di cui sentirsi umiliati. Al contrario, la vulnerabilità è quel tratto fondamentale che ci rende sensibili e aperti, capaci di riconoscere che siamo intrecci di relazione e guardare questa realtà con gratitudine; capaci di trasformare anche il dolore nel travaglio per la nascita di qualcosa di bello. Capaci di umanità.