ragioni dell'umano

Ecco perché l’Uomo della Sindone non è l’Uomo Vitruviano

di Maurizio Schoepflin

Se volessimo indicare un’immagine in grado di esprimere il significato profondo del titolo del Convegno della Chiesa italiana che si terrà a Firenze nel prossimo novembre – “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” –, ritengo che dovremmo scegliere quella della Sindone. Tale convinzione mi si è rafforzata in particolare dopo la lettura di un recente volumetto dedicato proprio al telo sindonico dal domenicano Marco Tommaso Reali, docente di teologia morale presso l’Issr di Bologna (L’uomo della Sindone. Appunti di anatomia spirituale, edizioni San Paolo, pp. 80, euro 12). In effetti, l’uomo della Sindone, che l’autore è sicuro essere Gesù Cristo, rappresenta davvero la nuova umanità a cui si anela diffusamente e quasi spasmodicamente, e le riflessioni contenute nel libro confermano questa certezza. Reali, infatti, conduce una suggestiva lettura spirituale del sacro lino, finalizzata a far scoprire al lettore come quell’immagine venerata da secoli rechi con sé l’indicazione della via per un rinnovamento profondo dell’uomo e, dunque, per la sua salvezza.

In ogni parte del corpo dell’uomo della Sindone Reali trova validi motivi di meditazione: nel volto egli vede un forte riferimento alla contemplazione del Padre che è nei cieli; nelle mani ravvisa il simbolo del lavoro da offrire al Signore; i piedi costituiscono un chiaro richiamo al cammino esistenziale di ciascuno di noi; il dorso duramente flagellato ci ricorda la sofferenza di cui è intrisa la vita; il costato aperto dal colpo di lancia può diventare il rifugio sicuro di chi si affida al Crocifisso; il sangue versato da Gesù, di cui la Sindone reca tracce evidenti, trasforma «la vita dell’uomo creato in vitalità eterna dell’uomo redento»; infine, l’acqua sgorgata dal costato del Salvatore rappresenta la grazia che disseta l’anima desiderosa di salvezza.

Reali fa notare che l’uomo della Sindone è ben diverso dal leonardesco Uomo Vitruviano, la cui immagine potremmo considerare il manifesto di un umanesimo antropocentrico. «Nell’uomo della Sindone – afferma l’autore – non vi è alcuna vera arte, ma solo la possibilità di raccontare una testimonianza… Non vi è una ricerca tra proporzioni geometriche, né vi è lo sviluppo di un canone che manifesti un punto di partenza per ogni artista proteso a comprendere il rapporto tra l’uomo e il mondo… L’uomo della Sindone non ha forme perfette, eppure riflette la pienezza dell’amore».

da Avvenire, 12 aprile 2015

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