esperienze

Gruppi di Volontariato Vincenziano

Forme e percorsi di incontro con Cristo

Gruppi di Volontariato Vincenziano

Paolo si affacciò alla porta del Centro di ascolto dei GVV in una mattina molto piovosa: era un giovane ubriaco fradicio, lurido, senza denti e arrabbiato con il mondo intero. Inutile dire che eravamo abituate a queste scene, ma lui era particolarmente violento e insistente.

A quel tempo avevamo un collegamento diretto con la Questura: bastava collegarci e arrivava subito un poliziotto. Paolo si era tirato dietro anche una ragazza, Lucia, larva umana, anche lei ubriaca e piena di droga che aveva per amico un cane lupo. Risultarono vecchie conoscenze della polizia per molte rapine.

La Figlia della Carità andò in cucina e tornò con un litro di caffè obbligandoli a berlo per svegliarli un po’.

Scegliemmo per loro indumenti puliti e, prima di far mangiare quel poco che riuscirono ad ingoiare, la suora tagliò loro capelli e unghie. Erano di nuovo esseri umani, non più relitti. Per completare l’opera la suora fece la doccia anche al cane!

Il primo passo fu di trovare un’assistente sociale che li prendesse in consegna.

Venivano una volta alla settimana: negli altri giorni andavamo in giro a cercarli per vedere come stavano; le ricadute erano sempre meno violente. Una volta dicemmo loro che c’era un gruppo di alcolisti anonimi che accettava tutti e insegnava a stare lontano dal vino.

Paolo dimostrò subito interesse e volle provare; fu subito accolto con amicizia. Quando tornammo a prenderlo, il suo sorriso sdentato era luminoso: disse che non avrebbe più bevuto. E così fu. Con lentezza riacquistò l’autocontrollo e si dimostrò un ragazzo molto intelligente. Per emulazione iniziò a frequentare le riunioni anche Lucia, che smise di bere e ritornò ad essere una bella ragazza; ma la droga ormai l’aveva segnata.

Iniziammo il giro dei medici, ma con scarsi progressi: fegato, reni, ossa erano molto compromessi e le restava ben poco da vivere.

Cominciò la corsa contro il tempo per avere una casa dal comune in modo che Lucia non stesse più in strada e dopo frenetiche riunioni, appostamenti, insistenze, riuscimmo ad ottenere come GVV un appartamentino nel cuore della città, dove si trasferirono Paolo e Lucia.

Come per incanto Paolo si rivelò un bravo cuoco e spesso facevamo la spesa e rimanevamo a pranzo da loro. Era febbraio e, senza chiedergli nulla, lo iscrivemmo ad un corso per chef che sarebbe iniziato in ottobre: avevamo quindi tutto il tempo per portarlo alla “mutua” e mettergli la bocca a posto. Aveva ricominciato a studiare e questo lo motivava molto: divorava tutti i libri che gli portavamo, compreso il Vangelo e la vita di santi.

Arrivò la settimana santa e invitammo Paolo a leggere a voce alta per Lucia la passione di Cristo.

La sera del sabato santo ce lo trovammo accanto in chiesa e vi rimase per tutta la messa.

Passarono i mesi e Lucia morì dolcemente, nel sonno, abbracciata al suo cane.

Paolo rimase nella casa e cominciò a frequentare con molta serietà e passione il corso di cucina. Trovammo un posto per lui in una trattoria che conoscevamo bene e lì si sbizzarriva ad inventare piatti, tanto che il padrone gli affidò i sughi per i primi. Poi è passato a ristoranti più importanti; lo facevamo venire anche nelle case a cucinare per cene e ricevimenti.

Oggi è chef, ha una casa più grande dove ospita chi ha bisogno di riemergere dalla strada. Non si è dimenticato di com’era e vuole in qualche modo rendere quanto ha ricevuto.

Considerazioni sul percorso di accompagnamento

Tra le tante testimonianze dei GVV abbiamo scelto quella sopra riportata che dimostra senza ombra di dubbi come la carità radicata in Cristo permetta un cammino di crescita e di maturazione nella fede, ridonando gioia, fiducia e concreta speranza a chi vive situazioni di degrado sociale, morale e spirituale.

Paolo e Lucia, i protagonisti della nostra storia, vivono ai margini della società, in quelle “periferie esistenziali” che tanto stanno a cuore a papa Francesco ma per le quali i sentimenti più comuni sono l’indifferenza e il fastidio o, nel migliore dei casi, la compassione e una superficiale commozione.

Nell’attuale società individualista ed edonista non è, infatti, facile lasciarsi abitare dai bisogni altrui, avere attenzione all’altro come nostro fratello in Cristo, considerarlo un’unica cosa con se stesso.

D’altra parte chi per lungo tempo è emarginato per le sue condizioni di vita poco dignitose e sperimenta l’abisso della solitudine (con l’unica eccezione, in questo caso, dell’amicizia di un cane) è guardingo e sospettoso, talvolta nutre rabbia verso il mondo (“era arrabbiato con il mondo intero”) e, cosa ben più grave, perde gradualmente l ’autostima.

Proprio questo atteggiamento di Paolo e Lucia è stato inizialmente il maggiore ostacolo per le volontarie vincenziane nell’accompagnamento dei due giovani verso il recupero della dignità e la faticosa conquista di quei diritti che sono di tutti gli uomini e di ogni cittadino.

Paolo e Lucia dopo la prima richiesta di aiuto cercano di sottrarsi all’attenzione sincera e costante delle volontarie vincenziane, che offrono con umiltà e gratuità il loro servizio di carità.

Fedeli all’insegnamento e all’esempio di San Vincenzo de’ Paoli esse li cercano, li “visitano” (la visita è lo specifico modus operandi del volontariato vincenziano), sono loro vicine riconoscendo in quei volti sofferenti il Cristo (In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me (Mt 25,40).

Fanno ricorso alla prudenza, all’ascolto rispettoso, alla comprensione e alla misericordia, che è capacità di amare e farsi prossimi.

Il dono materiale da solo può offendere ma le vincenziane donano amore e rispetto e nel tempo costruiscono intorno ai due una rete di protezione e di aiuti (Figlie della Carità, istituzioni, servizi sociali, ASL, associazione degli alcolisti anonimi, singoli benefattori) divenendo docili strumenti di Dio, il quale sceglie modi e tempi per il riscatto economico-sociale, morale e spirituale di Paolo e Lucia.

È stato giustamente affermato che la vera povertà del nostro tempo secolarizzato è la tendenza ad ignorare Dio, unica risposta certa alla domanda di senso della vita, speranza sicura del futuro.

Paolo inconsciamente è alla ricerca di Dio e le vincenziane sanno motivarlo alla lettura della Parola, gli forniscono vite di santi, testimoni di fede e carità, e il Vangelo.

Il giovane insieme all’amicizia di Dio trova la libertà spirituale, che gli impedisce di ricadere nelle tentazioni, e la dignità di uomo.

Acquista senso di responsabilità verso se stesso e verso gli altri, che sente a lui prossimi, una nuova mentalità, una nuova regola di vita e di pensiero.

La familiarità con Dio lo pone in una dimensione di comunione e solidarietà con gli uomini (ospita chi desidera allontanarsi dalla strada, vuole rendere quanto ha ricevuto).

Attese

“L’uomo è la possibilità” affermava Musil ma bisogna creare le condizioni perché si attualizzi questa possibilità.

L’evangelizzazione non può che avvenire dopo il riconoscimento dei diritti inalienabili della persona: casa, lavoro, salute, istruzione, libertà dal bisogno.

Il grido dei poveri, sempre più numerosi anche nelle società occidentali ad economia avanzata ma eticamente indeboliti, ci interpella, ci invita a riconsiderare l’attuale scala dei valori e a non perdere l’orientamento verso Cristo, luce del mondo.

Di qui la necessità di un più incisivo impegno di tutti i cristiani per migliorare le strutture politiche, economiche e sociali ed impedire che si “fabbrichino” i poveri.

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