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Catechesi per persone con disabilità mentale

Per disabilità mentale intendiamo poi quella menomazione della capacità cognitiva/relazionale, che indipendentemente da una disabilità fisica (ma a volte unita ad essa) impedisce alla persona di partecipare in modo fruttuoso ad un processo di apprendimento studiato per persone “normodotate”.

Dobbiamo purtroppo constatare che nei confronti di queste persone permangono molte lacune nella prassi della Chiesa: molto spesso si crede che queste persone non siano in grado di capire o non siano interessate, dimenticando che l’anima non è abile o disabile, e che la capacità di relazionarsi con Dio non si misura in termini di quoziente di intelligenza.

Occorre però adottare le opportune strategie di comunicazione.

Un po’ di storia

Anno 2010: l’incontro con Silvio. Mentre visita i malati del pronto soccorso, don Claudio, cappellano dell’ospedale e responsabile della pastorale della salute, si imbatte in Silvio, ragazzo con un ritardo cognitivo gravissimo, incapace di parlare. Il papà gli pone una domanda: Silvio è stato battezzato. Ma non può fare nient’altro? La Cresima? La Comunione? Don Claudio non sa cosa rispondere perché, che lui sappia, non c’è nulla in diocesi per ragazzi come lui. Da quell’incontro nasce l’idea di portare il problema alla Consulta diocesana per la pastorale della salute.

Primavera 2011: celebrazione della S. Messa presso le comunità residenziali  ANFFAS di Asti, con omelia interattiva e adattata alla disabilità degli ospiti (tutti i sabati pomeriggio per cinque mesi).

Si tratta di un’esperienza sperimentale: in cinque o sei ci siamo “lanciati” nel proporre queste celebrazioni, dove l’omelia diventava l’occasione di proporre gesti e segni facilmente comprensibili ai ragazzi, oltre che un linguaggio diretto ed elementare. Dopo alcuni mesi la collaborazione con l’Anffas si conclude, con un bilancio molto positivo rispetto alla relazione costruita con i ragazzi e all’esperienza accumulata.

Dicembre 2011  proposta di avvento  “anche noi vogliamo andare a Betlemme” a cura della pastorale diocesana della salute.  In tre grandi chiese della città la Messa vespertina del sabato é dedicata ai disabili mentali: le comunità parrocchiali sono chiamate a invitare i loro disabili. I numeri non sono grandi, ma abbiamo cominciato un’opera di sensibilizzazione.

20 febbraio 2012 inizia il primo corso di formazione per operatori della catechesi dei disabili, frutto della collaborazione fra pastorale della salute e ufficio catechistico, composto da 4 incontri curati da don Carmine Arice e dalla comunità del Cottolengo di Torino. Lo scopo del corso é di far conoscere l’esperienza a un pubblico più vasto, tra cui reperire i futuri catechisti, oltre che acquisire una migliore formazione pastorale. La partecipazione è stata buona e l’interesse notevole. A chi voleva, abbiamo dato la possibilità di assistere direttamente a un incontro di catechesi presso il Cottolengo.

Giugno 2012 prima riunione di programmazione per mettere a punto un percorso diocesano. Questo è il primo incontro “operativo”. Il primo di una lunga serie, che finalmente ha portato alla vera e propria partenza. I rapporti all’interno di questo gruppo sono andati via via intensificandosi e si è creato un bel clima di collaborazione. Al momento di cominciare il gruppo di catechiste arrivava a una dozzina, più vari collaboratori “esterni”, che non partecipavano alle riunioni, tra cui è da notare la presenza di tre bambine, figlie delle catechiste, che con serietà e passione hanno voluto accompagnarci in questi incontri, approcciandosi ai disabili con semplicità e spontaneità.

1 dicembre 2012 primo incontro di catechesi con un gruppo di disabili

Difficoltà e soluzioni

Tra le difficoltà iniziali, ce n’erano principalmente due:

1. La difficoltà nello stabilire un contatto con le famiglie delle persone con disabilità. Abbiamo presto capito che il canale parrocchiale non avrebbe funzionato: troppo spesso i contatti fra famiglie e parrocchia erano pochi e di cattiva qualità. abbiamo perciò scelto di passare attraverso le associazioni di disabili, contattandole tutte e chiedendo la loro collaborazione per fare arrivare alle famiglie dei ragazzi una lettera di invito. Chi era interessato veniva contattato personalmente in un secondo momento.

2. La difficoltà molto pratica del trasportare in un unico luogo persone che spesso erano su sedia a rotelle, e comunque difficilmente potevano contare sulla famiglia. Il tutto per nove incontri all’anno. L’idea di pagare un servizio di trasporto era completamente al di là delle nostre possibilità economiche. Qui ci è venuta incontro, è il caso di dirlo, la Provvidenza, nella persona del signor Gianni Maldonese, presidente della cooperativa “Il Faro” che ha messo a disposizione in modo totalmente gratuito uomini e mezzi per realizzare il nostro sogno. Ora gli incontri sono diventati diciotto, e ognuno richiede due mezzi attrezzati con autista, ma la disponibilità continua!

In una seconda fase la difficoltà è stata un’altra:

3. Come comunicare in modo adeguato i contenuti? I ragazzi che avevamo davanti non capivano il nostro linguaggio, fatto di concetti astratti, di sottintesi e di parole a volte difficili. Vi era poi il problema della scelta e organizzazione dei contenuti da comunicare. La soluzione ci è venuta dalla collaborazione col Cottolengo di Torino. Ispirandoci al loro metodo, abbiamo diviso il percorso in tre cicli: Natale, Pasqua e Pentecoste. Per ogni ciclo si sono previsti tre incontri di due ore l’uno condotti sempre dalla stessa persona con l’obiettivo di garantire ai partecipanti una maggiore continuità nell’insegnamento. La presentazione dei temi e l’esposizione dei contenuti avviene attraverso l’utilizzo di un linguaggio semplice (ma non banale o infantile). Si è altresì deciso di utilizzare durante gli incontri alcune tecniche per rendere più immediata la comprensione e evitare concetti astratti; fra queste si sono rivelate molto utili le tecniche visive, quali ad esempio cartelloni, proiezioni d’immagini, disegni, la manipolazione di materiali e la drammatizzazione delle letture.

È da notare anche la costante vicinanza ed l’incoraggiamento che abbiamo ricevuto dal nostro vescovo, il quale molte volte ha partecipato direttamente agli incontri. 

4. Una quarta difficoltà da superare, nata al termine del secondo anno di esperienza, è il diverso livello di capacità cognitiva fra i ragazzi che abbiamo davanti: alcuni, pur avendo un ritardo, sono in grado di interagire in modo “vivace”, parlando e intervenendo a proposito, altri sono più lenti, e altri ancora oltre a non parlare stentano a rendersi conto di ciò che avviene attorno a loro. Chiarisco: il problema non è la gravità del ritardo, ma la disparità del ritardo nello stesso gruppo. Il rischio è che i più svegli monopolizzino il discorso.

Per far fronte a questo problema, abbiamo pensato, dal prossimo anno (copiando anche qui un’idea del Cottolengo di Torino) di formare due gruppi divisi per livello cognitivo. Così ognuno può avere il programma e la comunicazione più adatti.

I frutti

A conclusione del primo anno abbiamo potuto far fare la prima confessione a una decina di ragazzi: è stato un traguardo importante perché abbiamo dovuto superare delle difficoltà di comunicazione e di comprensione notevoli, ma siamo riusciti a far fare loro una confessione “vera”, con tanto di esame di coscienza attraverso varie immagini che venivano spiegate loro da un catechista e scelte prima di andare dal sacerdote.

Quest’anno, nel mese di giugno, alcuni ragazzi riceveranno la Cresima.

Il prossimo anno contiamo di raggiungere il traguardo della Prima Comunione.

Le loro famigli sono state coinvolte e sono contente dell’attenzione data ai propri figli.

A livello diocesano più volte si è sentito parlare di questa problematica, anche attraverso vari articoli pubblicati sul settimanale diocesano, creando quindi una certa sensibilizzazione.

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