esperienze

Comunione e Liberazione

Gesti di umanità nuova

Comunione e Liberazione

Il contributo che il movimento di Comunione e Liberazione ha da sempre inteso offrire alla Chiesa, alla società e ad ogni uomo è stato ed è quello di offrire un percorso di educazione alla fede, ovvero alla sua personalizzazione, da cui solo può emergere quella diversità che rende capaci di una testimonianza originale nel mondo. Questo, che è sempre stato un aspetto caratterizzante la trasmissione della fede, lo è ancora di più oggi, come ricordava don Giussani: «In una società come questa non si può creare qualcosa di nuovo se non con la vita: non c’è struttura né organizzazione o iniziative che tengano. È solo una vita diversa e nuova che può rivoluzionare strutture, iniziative, rapporti, insomma tutto. E la vita è mia, irriducibilmente mia».[1]

È tale esperienza che sta all’origine dell’evangelizzazione: «L’uomo di oggi», diceva ancora don Giussani al Sinodo sui laici del 1987, «attende forse inconsapevolmente l’esperienza dell’incontro con persone per le quali il fatto di Cristo è realtà così presente che la vita loro è cambiata. È un impatto umano che può scuotere l’uomo di oggi: un avvenimento che sia eco dell’avvenimento iniziale, quando Gesù alzò gli occhi e disse: “Zaccheo, scendi subito, vengo a casa tua”»[2].

Perciò sentiamo particolarmente familiari le parole che Papa Francesco ha rivolto ai membri della Plenaria del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione: «La fede è un dono di Dio, ma è importante che noi cristiani mostriamo di vivere in modo concreto la fede, attraverso l’amore, la concordia, la gioia, la sofferenza, perché questo suscita delle domande, come all’inizio del cammino della Chiesa: perché vivono così? Che cosa li spinge? [ … ] [Il] cuore dell’evangelizzazione [ … ] è la testimonianza della fede e della carità. Ciò di cui abbiamo bisogno, specialmente in questi tempi, sono testimoni credibili che con la vita e anche con la parola rendano visibile il Vangelo, risveglino l’attrazione per Gesù Cristo, per la bellezza di Dio [ … ] C’è bisogno di cristiani che rendano visibile agli uomini di oggi la misericordia di Dio, la sua tenerezza per ogni creatura»[3].

L’unica posizione adeguata oggi è la testimonianza, come ci richiama quindi il Papa, perché la proposta passa sempre e solo attraverso un’umanità cambiata, altrimenti è una presunzione senza possibilità di esito. Lo richiamava recentemente anche il Santo Padre, parlando alla CEI: «La fede, fratelli, è memoria viva di un incontro.. se ci allontaniamo da Gesù Cristo, se l’incontro con Lui perde la sua freschezza, finiamo per toccare con mano soltanto la sterilità delle nostre parole e delle nostre iniziative. Perché i piani pastorali servono, ma la nostra fiducia è riposta altrove: nello Spirito del Signore, che – nella misura della nostra docilità – ci spalanca continuamente gli orizzonti della missione»[4].

Così, anche di fronte alle tante sfide che oggi accompagnano la vita nostra e di tantissimi nostri fratelli – sfide rappresentate dalla crisi economica, dall’emergenza educativa, dalla mancanza di lavoro, dalla progressiva decomposizione della società, fino a quella rappresentata dalle “battaglie per i nuovi diritti” – l’illusione sarebbe il pensare di potervi rispondere con sforzi di natura organizzativa o con un semplice richiamo all’etica: questo non è sufficiente e nasconde una tentazione di tipo utopistico.

«Il più bel pensiero a cui mi abbandono da tanti mesi a questa parte – notava don Giussani nel 1985 – è l’immedesimazione del primo tuffo al cuore che ha avuto la Maddalena e questo tuffo al cuore non è stato: “Vado via da tutti i miei amanti”, ma è stato l’innamoramento di Cristo. E per Zaccheo il primo tuffo al cuore non è stato: “do via tutti i miei soldi”, ma è la sorpresa innamorata di quell’Uomo»[5].

Ecco dunque perché il contributo originale dei cristiani non può essere in primo luogo quello di “risolvere” i bisogni degli uomini, né di additare dei principi etici – pur giusti – alle diverse sfide antropologiche: la comunità cristiana ha da rispondere offrendo un incontro – quello con la persona di Cristo – capace di ridestare l’io e da cui soltanto può rinascere anche una tensione etica, come è testimoniato dagli esempi commoventi di tante famiglie che vivono in letizia situazioni non prive di difficoltà. Infatti, come sottolinea don Julián Carrón, ‘[i]l compito di Cristo non è altro che quello di ridestare la persona, di fare emergere tutta la portata del suo desiderio, così da liberarla dalla schiavitù dei propri piccoli desideri»[6].

In tal senso, riteniamo fondamentali tre aspetti per una testimonianza che sia all’altezza di quanto oggi il mondo ci chiede:

1) Il richiamo all’essenziale. «[A]nche per noi, come per i primi, non finisce tutto con il tuffo al cuore, la vita continua con tutte le sue provocazioni. Anche noi possiamo rispondere come Pietro alla domanda su Cristo, cioè identificare in Lui l’essenziale per vivere. Ma tante volte anche noi ci sentiamo spostati dall’essenziale che pure abbiamo riconosciuto»[7]. Per questo facciamo nostra una preoccupazione di Papa Francesco, espressa nel già ricordato discorso al Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione: l’andare «fino alle periferie dell’esistenza», egli ha detto, «esige l’impegno [ … ] che richiami l’essenziale e che sia ben centrato sull’essenziale, cioè su Gesù Cristo. Non serve disperdersi in tante cose secondarie e superflue, ma concentrarsi sulla realtà fondamentale, che è l’incontro con Cristo, con la sua misericordia, con il suo amore e l’amare i fratelli come Lui ci ha amato»[8]; questo «ci spinge anche a percorrere vie nuove, con coraggio, senza fossilizzarci! Ci potremmo chiedere: com’è la pastorale delle nostre diocesi e parrocchie? Rende visibile l’essenziale, cioè Gesù Cristo?»[9].

  • Mostrare la pertinenza della fede alle esigenze del vivere. Anche su questo il Santo Padre ci indica una strada. Nell’Evangelii Gaudium, infatti, egli scrive: «A volte perdiamo l’entusiasmo per la missione dimenticando che il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno»[10]. E più avanti: «Non si può perseverare in un’evangelizzazione piena di fervore se non si resta convinti, in virtù della propria esperienza, che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola… Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa. È per questo che evangelizziamo»[11].
  • Vivere gesti di umanità nuova (di carità) nel presente. Già nel 1976, don Giussani diceva agli universitari del movimento: «L’utopia ha come modalità di espressione il discorso, il progetto e la ricerca ansiosa di strumenti e di forme organizzative. La presenza ha come modalità di espressione un’amicizia operante, gesti di una soggettività diversa che si pone dentro tutto, usando di tutto (i banchi, lo studio, il tentativo di riforma dell’università, eccetera), e che risultano prima di tutto gesti di umanità reale, cioè di carità. Non si costruisce una realtà nuova con dei discorsi o dei progetti organizzativi, ma vivendo gesti di umanità nuova nel presente»[12]. Questo in ogni ambiente in cui ci troviamo a vivere, col desiderio di condividere quello che ci è stato dato in tutte le “periferie esistenziali”. Lo aveva già detto con forza il Papa emerito Benedetto XVI: «La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per “attrazione”: come Cristo, attira tutti a sé»13. Lo stesso ripete l’attuale Successore di Pietro, Papa Francesco, quando nell’omelia del 1° ottobre 2013 a Santa Marta – riprendendo proprio la frase del suo predecessore appena citata – diceva: «Quando la gente, i popoli vedono questa testimonianza di umiltà, di mitezza, di mansuetudine, sentono il bisogno “di cui parla” il profeta Zaccaria: ‘Vogliamo venire con voi!’. La gente sente quel bisogno davanti alla testimonianza della carità. E’ questa carità pubblica senza prepotenza, non sufficiente, umile, che adora e serve”»! «Questa testimonianza» – continuava il Papa – «fa crescere la Chiesa»[13].

 


 

[1] L. GIUSSANI, Movimento, “regola” di libertà, a cura di O. GRASSI, CL Litterae Communionis, n. 11, novembre 1978, p. 44.

[2] L. GIUSSANI, Intervento al Sinodo, in Regno-documenti, 21(1987), p.665.

[3] FRANCESCO, Udienza ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Città del Vaticano, 14 ottobre 2013.

[4] FRANCESCO, Discorso all’apertura dei lavori della 66ma Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, Aula nuova del Sinodo, 18 maggio 2014.

[5] L. GIUSSANI, Ritiro dei Memores Domini, 24-26 maggio 1985, pro manuscripto, p. 15.

[6] J CARRÓN , Nella corsa per afferrarlo, Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione, Rimini, 4-6 aprile 2014, p. 38.

[7] Ibidem, p. 24.

[8] FRANCESCO, Udienza ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione….

[9] Ivi.

[10] FRANCESCO, Evangelii Gaudiuni, Esortazione Apostolica, Roma, 24 novembre 2013, n. 265.

[11] Ibidem, n. 266.

[12] L. GIUSSANI, Dall’utopia alla presenza. 1975-1978, Bur, Milano 2006, pp. 66-69. Cfr. anche J. CARRÓN, Nella corsa per afferrarlo, Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione, Rimini, 4-6 aprile 2014, p. 9: «Per questo il divario tra intenzione ed esperienza non ha niente a che vedere con il gap tra teoria e applicazione, ma indica che il contenuto di consapevolezza e di affezione è “di fatto(diventato) un altro, al di là della coerenza-incoerenza etica. Come a dire che, senza accorgercene, tante volte ci siamo spostati, abbiamo orientato il nostro sguardo da un’altra parte, ci siamo centrati su altro (l’essenziale non è stato negato, ma si è trasformato in un a priori, in un postulato alle nostre spalle che non definisce chi siamo, la nostra identità personale e il nostro volto nel mondo oggi)».

[13] BENEDETTO XVI, Santa Messa di inaugurazione della V Assemblea dell’Episcopato Latinoamericano e dei Carabi, Omelia, Aparecida, 13 maggio 2007.

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