esperienze

Coordinamento Teologhe Italiane (CTI)

La donna nell’umanesimo

Coordinamento Teologhe Italiane

Accogliamo l’invito che avete rivolto a tutti per una vera «interazione ecclesiale» in vista del Convegno 2015. La forma agile del documento preparatorio on-line e la possibilità di inviare contributi per posta elettronica ci ha convinte a “rispondere”, considerandoci interpellate personalmente e anche come associazione: il Coordinamento delle Teologhe Italiane.

Il «cordiale appello» termina con un rimando a Gal 3,28 per supportare l’affermazione che «i discepoli superano ogni discriminazione tra giudeo e greco, schiavo e libero, uomo e donna»:

  • Il primo contributo che sentiamo di dover dare è proprio in questo senso. In tutto il documento, a fronte di un enorme numero di menzioni “uomo” “umano” nonché “humanum” questa è l’unica volta in cui compare il termine donna. Senza questa ultima frase, si sarebbe potuto pensare che il precedente rimando alla moltiplicazione dei pani, portasse con sé anche l’idea del «senza contare donne e bambini»! Oggi come oggi, di fronte proprio alle sfide e all’esigenza di trasparenza e giustizia che connotano questa nostra epoca, non è più possibile “non vedere” il problema di tale mancanza. Non si tratta di accanimento nominalistico, ma di esigenza di portare a parola una sfida importante per la nostra chiesa: come altre volte abbiamo osservato, già nel passaggio da Gaudium et Spes a Christifideles laici se ne era avuta la percezione e se l’autorevole decreto conciliare dice “uomo”, Christifideles (1987) lo apre in «uomini e donne». Senza tale attenzione, alla differenza e alle differenze, questa riflessione rischia di porsi più fuori dal tempo che attenta ai segni dei tempi. Ci sembra peraltro strana l’omissione a fronte della voce corrispondente e piuttosto allarmata del recente Convegno di Aquileia; ma soprattutto a fronte della crescita esponenziale di prese di posizione polemiche sul tema, che giudichiamo inadeguate: la campagna “contro” non solo le cosiddette teorie di genere ma anche contro il semplice uso del termine. Assistiamo infatti sgomente al crescere di una sorta di costruzione di eresia, che interpreta “genere” nel modo, possibile ma minoritario, di stravolgimento decorporeizzato di ogni differenza, ignorando (gli uni) o fingendo di ignorare (forse altri) che il termine e la prospettiva di genere sono utilizzati da decenni in tutto il mondo occidentale per indicare che si è donne e uomini in forma storicamente e culturalmente determinata: questione che certo un umanesimo che cerca “l’uomo nella sua concreta storicità” (p. 11 dell’Invito) non può ignorare!! Avremmo anche altre riflessioni da fare, ad esempio sulla pretesa chiarezza del cosiddetto principio petrino / mariano, ma il documento preparatorio chiede di non fare teologia e dunque rimandiamo ad altra occasione.
  • Abbiamo poi altre due semplici osservazioni, che immaginiamo abbiano avanzato anche altri e che non sono legate specificamente a una dimensione femminile:
  1. forse per “dialogare” e anche portare un Evangelo di gioia, si potrebbe iniziare parlando dei meriti dell’umanesimo e non partendo dalla intristita considerazione dell’individualismo e del rifiuto di Dio. Non per negare i problemi, ma per considerarli con sguardo affabile e benedicente, vedendo anche il molto, ad esempio in termini di diritti e prospettiva critica, che abbiamo ricevuto dalla modernità. E benedicendo anche l’inquietudine di una post-modernità, che è l’unico tempo in cui ci è dato di vivere, gioire, soffrire-ricevere l’Evangelo e anche annunciarlo
  2. È vero che nel testo ci sono degli accenni alla “povertà”, ma non sarebbe più opportuno parlare concretamente di crisi, di cattiva gestione della finanza, di necessità del disarmo?

Probabilmente abbiamo un po’ rovesciato lo schema, visto che si faceva richiesta di «un’esperienza positiva, un nodo, un modo di superarlo»: ma non ne siamo del tutto fuori.

 

  • abbiamo iniziato con i nodi (questione femminile, giudizio negativo sul “mondo”, scarsa concretezza sulla giustizia e il disarmo);
  • le esperienze positive sono molte: esistere come “rete” di riflessione e supporto, cosa che di di fatto è un coordinamento teologico quale il CTI, è estremamente positivo, luogo di speranza, spazio corroborante e capace di infondere fiducia. Certo non sempre abbiamo l’impressione che la nostra riflessione esca da circoli ristretti. Pensiamo che potrebbe essere più ascoltata, ma in ogni caso siamo convinte che la “parte migliore non ci sarà tolta” (cf Lc 10,), perché nessuno può farlo. Che dire poi, ad esempio, della grande manifestazione dell’Arena 2014 di Pace e disarmo? epifania di un popolo di uomini e donne che sanno dare nomi concreti ai problemi e suggerire piste di soluzione;
  • come fare in modo che il positivo possa contribuire a sciogliere i nodi? rispetto a questo una sola fra le molte osservazioni possibili: quando si cerca il dialogo, è necessaria una disciplina di franchezza. Diciamo disciplina, perché purtroppo la franchezza non è un abito, una virtù molto insegnata e praticata. A volte ce ne priviamo, pre/censurandoci, anche per piccole cose, senza motivo, forse perché – Manzoni direbbe – “il coraggio uno se non l’ha non se lo può dare?” Riteniamo che, comunque si voglia porre la questione, il nostro carattere umano, inclusivo e affabile, non ne possa essere privo. Dunque neanche la pratica ecclesiale.

1 Commento a “La donna nell’umanesimo”

  1. Michele
    il

    Come sempre, affermazioni puntuali e pregnanti. Insisterei molto sul concetto di “differenza in progress”, non nel senso di realizzare una vana eguaglianza, ma nell’ottica di un dialogo reciproco e costruttivo

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