esperienze

Piacenza - Bobbio

Una scuola cristiana

Istituto “Don Orione”

L’esperienza a cui si fa riferimento ci porta al progetto educativo realizzato presso le strutture scolastiche dell’Istituto “Don Orione” di Borgonovo Val Tidone e Piacenza, realtà scolastica cattolica di prima linea che, in riferimento al progetto del Fondatore Don Luigi Orione, vede la realtà educativa e scolastica quale “libera accettazione degli studenti, nel senso che a ogni studente viene riconosciuto il diritto a iscriversi alla nostra scuola, dopo essere messo a conoscenza che la scuola opera secondo un suo statuto e con un progetto educativo di ispirazione cristiana e un conseguente modello pedagogico.” Questo vincola da subito nei confronti degli studenti iscritti, come una scuola particolare, la quale, pur accogliendo e includendo tutti indistintamente, si pone come scuola “cristiana” e quindi ispirata dai principi che ne discendono, una dimensione non sempre facile da sostenere con convinzione e coerenza, in un contesto sociale in cui i valori del Vangelo sono dimenticati o messi in secondo ordine da una società multietnica che ci presenta giovani legati a culture molto diverse fra loro e dalla nostra, e anche ragazzi spesso educati a credere solo nelle cose materiali, senza essere mai stati messi a confronto del trascendente; oltretutto si constata anche una diffusa carenza di un’opera autentica di orientamento : questo è il contesto un po’ “di frontiera” nel quale opera la comunità scolastica erede di Don Orione.

Le istituzioni scolastiche del “Don Orione” di BVT e PC hanno dunque da tempo dimensionato il prendersi cura di tanti giovani in difficoltà, quale segno di profondo umanesimo da parte di una scuola con insegnanti che quotidianamente vivono la sfida a “formare le nuove generazioni, perché sappiano entrare in rapporto con il mondo” ( dagli Orientamenti pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo” ) e non solo imparare un mestiere, giovani che pervengono a quella comunità scolastica in età fra 15 e i 18 anni e sono già passati per almeno 9 anni di scuola, alcuni di loro cresciuti in modo assai lacunoso sia dal punto di vista della dimensione educativa sia nell’acquisizione di conoscenze e competenze basilari, molti di essi, peraltro, appena arrivati nel nostro Paese, e spesso con pregressi insuccessi derivanti da una molteplicità di variabili, il che impone un’opera di vera e propria “rieducazione” dal punto di vista umano, sociale, culturale, relazionale, in quanto essi vi pervengono per lo più già formati nelle loro vicissitudini di vita, le quali comprendono a loro volta quelle delle loro famiglie, dell’ambiente sociale in cui sono cresciuti, dalle loro amicizie, da disagi di vario genere, spesso con vere e proprie patologie, denotando spesso un’educazione mancata o vissuta in contesti culturali moralmente degradati.

Questo tipo di accoglienza comporta pertanto, da parte dei docenti educatori, un notevole impegno basato sulla “specializzazione nella capacità di accoglierli per quello che sono e senza pregiudizi nei loro confronti, confidando nel fatto che da quasi tutti loro può essere tratto qualcosa di buono per la loro vita”, come è dato leggere testualmente nella presentazione delle esperienze educative del Progetto Educativo Orionino, dal quale prendiamo spunti di metodo:

“Il metodo educativo è “paterno” perché “al suo sistema, don Orione, anzitutto, vuole indicare che i due protagonisti dell’educazione vanno considerati padre e figlio. L’educatore, in certo modo, incarna da un lato la paternità di Dio e, dall’altro, la funzione del padre di famiglia; quindi l’ideale di educazione si potrà perseguire nella misura in cui si assume un atteggiamento paterno nei confronti dell’allievo”. Senza paternità non si può avere alcun tipo di crescita, perché mancherebbe all’educatore la capacità di accettare l’alunno così come è e, di conseguenza, la generosità per impegnarsi a fondo nello sviluppare, per quanto possibile, tutte le sue potenzialità”. “Paternità vuol dire dedizione assoluta. Ma la paternità nell’ambito educativo non può essere disgiunta dall’autorità”. “La perfezione del governare – segnala don Orione – è compresa in queste cinque parole: vegliare, amare, sopportare, perdonare e pascere.” Un educatore deve coltivare le seguenti attitudini:

    1. essere nemico dei vizi e medico dei viziosi;
    2. correggere con la forza dell’esempio e la dolcezza degli avvertimenti;
    3. amare con la più tenera carità quelli che hanno mancato;
    4. mai lasciarci uscire di bocca un ordine quando la passione è in sul caldo;
    5. quando siamo costretti a negare ciò che viene chiesto, l’alunno capisca la pena che noi proviamo di non poter concedere;
    6. avviciniamo i giovani unendo al dolce, alla mitezza e bontà anche quel contegno dignitoso, ma non abitualmente severo;
  • in tutto facciamo loro comprendere che vogliamo il loro bene.“Il metodo educativo è “cristiano” perché “nella scuola è necessario che sia tutto verità ciò che si insegna; quella verità che nutre, che non inaridisce il cuore perché non è mai disgiunta dalla virtù e dalla carità. Ogni vostro insegnamento, dunque, elevi le menti dei vostri alunni a Dio”.    
  1. Queste considerazioni portano con sè tante implicazioni a livello didattico, ma gli operatori del “Don Orione” sanno bene che le più importanti risiedono nella capacità di accoglienza senza pregiudizi, nella pazienza e perseveranza di aspettare la maturazione dei singoli e nella capacità di saper accettare anche possibili parziali insuccessi, in un ambiente educativo essere basato sull’accettazione incondizionata dell’alunno quale persona secondo il vero amore cristiano verso il prossimo, siano essi i colleghi che i giovani studenti, una dimensione, quindi, di pieno umanesimo educativo.
  2. Si tratta di utilizzare la formazione come strumento educativo e non, come si può rischiare di credere e di fare, per far imparare solo conoscenze e acquisire competenze, senza dimenticare che lo strumento che la formazione professionale può e deve utilizzare per educare i giovani è l’insegnamento di un mestiere, ma senza credere che esso sia il solo fine cui si deve tendere, nella consapevolezza che l’educare o il rieducare è il compito principale cui siamo chiamati.
  3. Gli educatori-docenti certo sono anch’essi portatori di fragilità e di momenti di sconforto o di rassegnazione, che devono essere adeguatamente supportati per evitare che si cada in contraddizioni o in incapacità ad agire, per cui aiutare gli educatori, compresi i volontari, vuol dire creare un ambiente adeguato che possa in qualche modo supportare con un aiuto reciproco le debolezze dei singoli che si possono trovare in momenti di difficoltà, e con una adeguata e continua formazione: al “Don Orione” si è ben constatato che “ l’educazione, costruita essenzialmente sul rapporto educatore/educando, non è priva di rischi e può sperimentare crisi e fallimenti: richiede quindi il coraggio della perseveranza. Entrambi sono chiamati a mettersi in gioco, a correggere e lasciarsi correggere, a modificare e rivedere le proprie scelte, a vincere la tentazione di dominare l’altro (dagli Orientamenti pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo”).
  4. “Vi dirò di guardarvi dal far prediche tutti i giorni, né si dovrà trasformare la scuola in una chiesa… L’educatore sia lui, prima di tutto un convinto credente… I giovani non ragionano tanto: seguono e fanno ciò che vedono fare”.

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