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Taranto

Proporre la speranza

La Chiesa di Taranto e la vicenda Ilva: prossimità e dialogo nella difesa della vita, dell’ambiente e del lavoro

Un’intera chiesa per il bene comune. Il primato della vita e della dignità 

«Amo l’immagine di una Chiesa che costruisce ponti. Innanzi a me ho sempre l’icona di Gesù Cristo che andava ovunque e ovunque cercava un interlocutore. In un momento nevralgico e paradossalmente abulico della vita di questo Paese, ho sentito la necessità dell’ascolto più che di dare risposte. Le risposte siamo chiamati a darle tutti insieme, perché la soluzione non può essere staccata dal suo problema ma deve muoversi da esso conoscendolo e interpellando le sue parti costitutive, chiamandole per nome».

Così l’arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, ha dato un corso accelerato e nuovo all’azione pastorale sociale dell’arcidiocesi. Rendendo incisiva e costante la presenza della chiesa diocesana, nell’emergenza Ilva, di carattere nazionale e non solo. A partire da questa emergenza, si inanellano nella Città dei Due Mari, vertenze ed emergenze di vario genere, quasi tutte legate al mondo del lavoro e alla difesa dell’ambiente e della salute.

La convinzione fondamentale dell’agire pastorale che ispira questo rinnovato corso di prossimità è   che la Chiesa non si occupa di politica né di economia, ma è promotrice di un tessuto sociale che abbia cura degli ultimi, dei deboli. A Taranto la promozione sociale, umana, non può non passare nel dedalo dell’Ilva, una vicenda intricata e alquanto problematica. La grave emergenza ambientale è stato il risultato di un pluriennale piano di sviluppo industriale che ha sconvolto la nostra terra ha portato sì occupazione e lavoro, ma, al tempo stesso è stato la causa della morte di tante persone, della malattia di tante altre ed ha profondamente contaminato il territorio in cui viviamo.

Nessuno può rimanere indifferente dinanzi a questo conflitto che rende amara la vita di chi ha perso i propri cari, di chi è gravemente ammalato come di chi lavora e di chi è a rischio immediato di contaminazione e di morte. Trovare una soluzione non vuol dire che esista già, occorre costruirla, crearla. E perché sia una soluzione equa, così come ha auspicato Benedetto XVI nell’Angelus della prima domenica di agosto del 2012, parlando proprio di Taranto, bisogna appropriarci di quello che amiamo chiamare il “bene comune”, il bene per tutti. Diverso quest’ultimo da motivazioni prettamente economiche e tantomeno ideologiche. Occorre ogni volta scoprirlo e attuarlo.

«Sono confortato – afferma monsignor Santoro – in questa strada di vicinanza semplice e fattiva dal magistero di papa Francesco, che personalmente ha voluto incoraggiarmi e sostenermi in questo tentativo di dialogo, fra tutte le parti chiamate in causa. Una strada difficile ma necessaria che spesso trova intoppi, ma che comunque sia vale la pena percorrere».

Iniziata a metà del 2012, la vicenda Ilva ha tenuto banco per tutto il 2013, dalla chiamata dell’Arcivescovo alla grande marcia “della città per la città” al convegno organizzato dalla Diocesi il 7 novembre 2013 su “Ambiente, salute e lavoro: un cammino possibile per il bene comune” con i ministri di Ambiente e Salute e con tecnici di livello internazionale e rappresentanti delle varie associazioni ambientaliste.

L’arcivescovo nello stabilimento Ilva al precetto pasquale 2014 così intende segnare il corso dell’azione pastorale diocesana:«Da un po’ di anni, giustamente, si cerca di stabilire, ribadire, rendere inconfutabili i diritti alla vita, alla salute, all’ambiente, al lavoro, gerarchizzandoli perché non ci siano margini di negoziazione, né minaccia alcuna che sul diritto primario della vita si addensino altre nubi. Gesù nel vangelo va però avanti difende la vita e la rende servizio, servizio di amore nell’essere gli uni i servi degli altri. Un messaggio audace, che ribalta il nostro sguardo sul mondo. Come è importante tra di noi, tra di voi, un clima di serenità, di rispetto, di fiducia, di servizio. Bisogna vincere l’individualismo e, come dice papa Francesco “la cultura dello scarto”. “Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare”.

Dobbiamo scrivere una nuova pagina nella storia della nostra terra e di questa fabbrica in particolare. Dare un segno di discontinuità che comincia col rispetto delle persone, la difesa della vita e la difesa del lavoratore. E poi la costruzione di un clima sereno. Degli sforzi in questo senso si stanno facendo ed il vangelo ci indica una parola precisa: il servizio.

Cari fratelli e sorelle, per me i diritti prima ancora che fissarsi sulla Carta costituzionale, hanno un volto, il vostro volto, quello degli ammalati, quello dei vostri figli… I diritti hanno il volto dei bambini che devono ancora nascere qui a Taranto».

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