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Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID)

Costruire il bene comune

UCID - Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti

Il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze 2015 è un’occasione propizia per alcune riflessioni da parte dell’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) sull’impegno degli imprenditori cristiani per la costruzione del bene comune e di un nuovo umanesimo.

In questi difficili anni di profonda crisi occorre rinvigorire la responsabilità e l’impegno degli imprenditori e dirigenti cristiani per coniugare solidarietà ed efficienza nelle attività d’impresa, per la costruzione del bene comune e di un nuovo umanesimo e per la riduzione delle disuguaglianze tra i Paesi ricchi sempre più ricchi e i Paesi poveri sempre più poveri.

L’attuale crisi economica che dura da sei anni (depressione economica e non semplicemente recessione) costituisce una netta frattura con il passato perché è una crisi antropologica, una crisi dell’uomo da cui bisogna partire per la costruzione di un nuovo umanesimo e per noi un nuovo umanesimo cristiano. Dobbiamo prepararci a costruire il nuovo futuro che certamente è di lungo periodo, soprattutto per le giovani generazioni, attualmente le più penalizzate in un’ottica intergenerazionale.

La prima domanda riguarda la globalizzazione che, come afferma il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa del 2004, costituisce la terza grande sfida a cui si trova di fronte l’umanità all’inizio del terzo millennio. La globalizzazione, si legge nel Compendio, ha un significato più largo e più profondo di quello semplicemente economico, poiché nella storia si è aperta una nuova epoca, che riguarda il destino dell’umanità.

Dall’esperienza che abbiamo finora vissuto, si può vedere che la povertà assoluta a livello mondiale è diminuita ma è aumentata quella relativa. E’ un punto su cui si sofferma il Santo Padre Benedetto XVI nel bellissimo messaggio della giornata mondiale della pace del primo gennaio 2009: “Comabattere la povertà, costruire la pace”. Sullo stesso tema della fraternità e della costruzione della pace si sofferma Papa Francesco nella giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2014. La crisi che stiamo vivendo ci obbliga ad interrogarci sul futuro della globalizzazione, in relazione alle diverse aree economiche del mondo e, in particolare, della nostra Europa.

Attualmente un abitante su otto dei circa 7 miliardi di persone a livello mondiale soffre la fame e vive con meno di un dollaro al giorno.

L’Europa deve cercare il proprio riscatto, coscienti del fatto che le sue basi non possono essere solo economiche e finanziarie, ma mirare ad una vera integrazione tra i cittadini, facendo leva sulle comuni radici cristiane, dando origine ad un nuovo umanesimo cristiano.

Non vi è dubbio che la crisi, produttrice certamente di influssi negativi, costituisce anche una grande opportunità per il rilancio dell’Unione Europea. La crisi, per essere superata, richiede “più Europa e non meno Europa”. Un’Europa che si deve allargare non solo verso Nord, ma anche verso Sud: il Mediterraneo e l’Africa. L’Europa deve responsabilmente farsi carico dello sviluppo delle aree geografiche povere più vicine e, in primis, dell’Africa. Sul piano storico, si tratta in fondo del modello dell’antica Roma, il cui impero era fortemente incentrato sulla grande fascia geografica del Nord Africa.

Sono queste le nuove tendenze per un nuovo modello di sviluppo e un nuovo umanesimo cristiano che indicano una strada più graduale per l’integrazione economica e sociale a livello mondiale per la costruzione del bene comune universale, partendo dai patrimoni di identità che caratterizzano le grandi aree economiche mondiali e coniugando i cinque grandi valori della Dottrina Sociale della Chiesa: Sviluppo, Solidarietà, Sussidiarietà, Destinazione Universale dei Beni, Bene Comune.

Secondo questa diversa filosofia, profondamente animata dai valori spirituali, possiamo superare meglio la seconda grande sfida a cui si trova di fronte l’umanità all’inizio del terzo millennio e di cui parla il Compendio: la comprensione e la gestione del pluralismo e delle differenze a tutti i livelli a livello mondiale (globalizzazione). Si tratta di differenze di pensiero, di opzione morale, di cultura, di adesione religiosa, di filosofia dello sviluppo umano e sociale.

La Dottrina Sociale della Chiesa, dalla Rerum Novarum di Leone XIII alla Caritas in Veritate di Benedetto XVI, costituisce una grande luce che illumina i passi degli imprenditori, dei dirigenti e dei professionisti cristiani, chiamati a fare sviluppo per il bene comune e alla costruzione di un nuovo umanesimo in Gesù Cristo.

La Caritas in Veritate parla di vocazione allo sviluppo, mettendone in evidenza la dimensione trascendente e teologica rispetto alla dimensione che pure è fondamentale del discernimento morale degli atti umani nella storia.

Vi è una forte consonanza tra la Caritas in Veritate di Benedetto XVI e la Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II attraverso il diritto dell’intraprendere come libertà fondamentale dell’uomo e la condanna del burocratismo statale che nella pretesa di rendere tutti uguali appiattisce l’iniziativa dei singoli e delle loro libere organizzazioni, sacrificando lo sviluppo e la costruzione del bene comune. Di tutto questo vi è grande consonanza nel terzo Rapporto Ucid in cui vengono esaltati i valori della libertà, della responsabilità, della dignità e della creatività dell’imprenditore e di tutto il mondo che caratterizza l’impresa, comunità di persone in cui l’autorità imprenditoriale non è esercizio di potere ma servizio per lo sviluppo e il bene comune. Nel Rapporto si misura analiticamente l’orientamento dell’impresa al bene comune e in particolare ai dipendenti, la risorsa più preziosa per la sostenibilità di lungo periodo, alle comunità locali, alle istituzioni locali, ai clienti, ai fornitori, agli azionisti.

Un’altra importante enciclica sociale che va ricordata è la Populorum progressio del 1967 di Paolo VI. Lo sviluppo è fondamentale per la libertà dei popoli ed ha un significato ben più largo e profondo della semplice crescita economica (sviluppo economico), perché coinvolge l’uomo con i suoi valori di libertà, responsabilità, dignità, creatività. Lo sviluppo, ricorda Paolo VI, è il nuovo nome della pace. L’uomo deve rimanere al centro di ogni processo di sviluppo perché è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Senza etica non ci può essere vero sviluppo, come sottolineava con grande visione profetica Pio XI nella Quadragesimo Anno del 1931. L’etica, e nel nostro caso l’etica cristiana, non deve essere esterna all’impresa, altrimenti si fa mero filantropismo, ma innervare tutta la vita dell’impresa e la sua gestione.

Come si sottolinea nel Rapporto terzo Rapporto Ucid 20013, sviluppo e bene comune sono due valori che devono procedere insieme per la crescita integrale dell’uomo nella carità e nella verità. La carità è la misura massima della giustizia e il suo valore teologico rafforza il legame tra Dio e l’uomo, fatto a sua immagine e somiglianza.

Il Rapporto sottolinea con forza che lo spirito imprenditoriale nasce e si sviluppa nella famiglia secondo i valori che gli sono propri. L’impresa a sua volta riversa nella famiglia i valori dello sviluppo per il bene comune, esaltando i due grandi principi della Dottrina Sociale della Chiesa che sono la solidarietà e la sussidiarietà. In questo modo, afferma il nostro Consulente Ecclesiastico Nazionale Cardinale Salvatore De Giorgi, anche l’impresa può diventare luogo di catechesi e riversare i suoi benefici sulle famiglie che costituiscono il nucleo fondamentale e primigenio della società secondo l’insegnamento cristiano. A sua volta, la famiglia riversa nell’impresa i valori della gratuità e del dono, perché da solo il mercato non è in grado di realizzare il bene comune (v. Caritas in Veritate di Benedetto XVI).

Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può da solo svolgere la sua funzione economica, cioè di creare la ricchezza e di distribuirla secondo giustizia. L’obiettivo dell’impresa non può pertanto essere costituito unicamente dal profitto, che senz’altro è importante per assicurare l’accumulazione e lo sviluppo in un’ottica di lungo periodo, e dalla responsabilità nei confronti degli azionisti, ma occorre anche testimoniare la responsabilità nei confronti degli altri portatori di interessi, rappresentati in primis da dipendenti. In questo modo, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II nella grande enciclica sociale Centesimus Annus del 1991, l’impresa è una comunità di persone, potenziale costruttrice di un nuovo umanesimo che per un’associazione come l’Ucid è cristiano.

L’Enciclica sociale Caritas in Veritate sottolinea che non esiste solamente la responsabilità sociale dell’impresa ma anche la responsabilità sociale del consumatore. E ciò vale soprattutto nel nostro tempo in cui la mentalità consumistica ha preso il sopravvento, con danni incalcolabili per la famiglia e per il suo primato educativo e per la santificazione della festa.

In questo spirito, termina la valutazione ecclesiale del terzo Rapporto Ucid 2013 con due passi ritenuti molto significativi della Conclusione della Caritas in Veritate di Benedetto XVI. “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia”. “Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato”.

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