dal territorio

Nella famiglia il nuovo umanesimo

di Chiara Giaccardi

La famiglia al centro dei racconti di “umanesimo vissuto” inviati dalle diocesi e dalle associazioni di tutta Italia in risposta all’Invito

Nella veglia di apertura del Sinodo sulla famiglia, Papa Francesco ha invocato tre doni dello spirito, per illuminare il cammino: l’ascolto, la disponibilità al confronto, uno sguardo rinnovato dall’aver contemplato il volto di Gesù. In totale sintonia con questa disposizione è il cammino verso il convegno ecclesiale di Firenze 2015 – In Gesù Cristo il nuovo umanesimo – che è proprio partito dall’ascolto: l’invito mandato nel mese di ottobre 2013 a diocesi e associazioni chiedeva infatti di far dono di un’esperienza, una narrazione di “umanesimo vissuto”, esattamente per la ragione espressa da Papa Francesco nella veglia: «Dobbiamo prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l’”odore” degli uomini d’oggi». Un umanesimo che si annuncia plurale perché la chiesa, come si legge nella Evangelii Gaudium, è un “popolo dai tanti volti”. E il volto dei volti, quello di Gesù, fa risplendere i nostri e ci regala uno sguardo nuovo su quello dei nostri fratelli.

Questo cammino complementare, tra il Sinodo (la “via insieme”) e il convegno (il con-venire, l’incontrarsi) è allora provvidenziale e fruttuoso, dato che la famiglia è la prima scuola di umanità, e che l’umanesimo in Gesù è un umanesimo relazionale. Ma non una relazione qualunque: un legame di fratellanza, fondato nel nostro essere figli di uno stesso Padre, che formano quindi una sola famiglia umana. La stessa chiesa, ha detto Papa Francesco, è una “famiglia di famiglie”. Le esperienze raccontate dalle chiese locali dicono che è possibile per la famiglia, benché certamente infragilita e provata dalle tante sfide che la accerchiano e la sfiancano, non restare bloccata nella posizione di soggetto bisognoso di assistenza, ma farsi risorsa per affrontare, nella solidarietà e nella comunione, le tante questioni spinose che per la attraversano.

Una famiglia che non vuole solo essere “destinataria”, ma sa farsi promotrice. Che è luogo di fragilità ma anche di energia. Soprattutto, che può estendere la propria vocazione all’accoglienza, all’accompagnamento, alla prossimità sollecita oltre i confini del proprio nucleo ristretto. Come scriveva Emil Cioran, nulla possiamo aspettarci dagli occhi senza una riforma dello sguardo. E la prossimità sollecita, lo stare accanto prendendosi cura, realmente riforma lo sguardo.

L’altro non è visto più come portatore di un bisogno, o di una disabilità, o di una ferita ma come un volto, espressione di una totalità che ha comunque qualcosa da esperienze e da dare. L’essere umano intero e la vita come interezza, non frammentata in compartimenti in nome dell’efficienza delle soluzioni è ciò che emerge dalle esperienze delle chiese locali. Integrare i contesti, le generazioni, le diverse abilità, le situazioni ferite e quelle serene significa non solo includere piuttosto che escludere, ma offrire a tutti un’occasione di apertura, accoglienza, crescita. Perché nessuno solo da o solo riceve, e tutti hanno qualcosa da dare. Il prendersi cura è un movimento di reciprocità, che ‘cura’ anche chi offre la propria disponibilità.

La famiglia respira, vive e si rigenera se si apre oltre se stessa. Ascolto, accoglienza, accompagnamento le caratteristiche che accomunano le storie di protagonismo familiare. Che in un certo senso già rispondono, o almeno si sono messe in cammino per cercare una risposta, ad alcune delle questioni sollevate dall’Instrumentum Laboris che fa da traccia per i lavoro del Sinodo, in particolare la seconda parte al cap. 2 (Le sfide pastorali sulla famiglia), la sezione A del capitolo 3 (Le situazioni pastorali difficili) e la parte terza al cap. 2 (La chiesa e la famiglia di fronte alla sfida educativa).

Ma le esperienze che fanno da base al lavoro preparatorio di Firenze 2015 sono anche testimonianze di come la famiglia, attivamente e creativamente, può farsi risorsa per rispondere alla crisi in corso in tutti i suoi aspetti: economico, antropologico, educativo. La famiglia non è solo un’istituzione in via di sparizione da difendere in un’oasi protetta. È piuttosto una potente risorsa di umanità per affrontare le sfide del presente. Tra i tanti percorsi che si possono rintracciare nel materiale pervenuto (e consultabile nella sezione Esperienze), cominciamo allora proprio dalle nuove sfide pastorali, come le situazioni familiari irregolari: il dato che colpisce è lo scavalcamento dell’ormai classico paradigma mediatico stigmatizzazione/rivendicazione, per rispondere ai nuovi bisogni non in modo astratto e secondo qualche ordine di principi, ma prima di tutto accogliente verso persone sofferenti, provate dal fallimento del loro progetto esistenziale. Un fallimento che accompagna le scelte di chiunque, sempre esposte a questo rischio, dato che siamo esseri liberi. Le esperienze di Albano, Bologna, Bergamo, Cuneo e Fossano testimoniano per esempio come il volto materno della chiesa, oltre a evitare la “doppia esclusione” (dalla famiglia e dalla comunità) di chi ha visto fallire il proprio matrimonio, è in grado di raccogliere i frutti di serenità, equilibrio e persino testimonianza e coinvolgimento attivo che anche le persone ferite sanno generare. Ben al di là del diritto/divieto di accesso ai sacramenti, che pare l’unico tema notiziabile.

Un secondo ambito di protagonismo familiare è il sostegno ad altre famiglie in difficoltà genitoriale: o perché i figli disabili, una volta cresciuti, restano socialmente invisibile ed esclusi (Casa Emmanuel a Brindisi o HAbitaTerra a Latina); o perché i figli non riescono a uscire da un circuito di dipendenza; o perché il figlio tanto amato è scomparso prematuramente (Associazione Figli in cielo); o perché le nuove povertà rendono ancor più difficile stare insieme, e allora potersi sostenere a vicenda fa la differenza (Cammini di prossimità, Forlì-Bertinoro). Il sostegno reciproco può anche esprimersi in modelli abitativi differenti, che coinvolgono famiglie residenti e non, e soprattutto percorrono due piste nuove: quella di una “famiglia allargata” che è accoglienza e non dissipazione e disgregazione; quella di un “contagio positivo”, a fronte di un contesto in cui solo i modelli negativi diventano “virali”. La casa famiglia multiutenza di Piacenza-Bobbio, o la comunità familiare Aquile di Siloe a Chioggia sono apripista in questa direzione.

La famiglia può essere scuola di stile, nel senso più profondo del termine: stili abitativi, ma anche stili relazionali conviviali (che estendono il “sentirsi in famiglia” al di là del nucleo ristretto), come le “famiglie in festa” di Civitavecchia. E stili di consumo: emblematico il caso dell’emporio della solidarietà (Foligno), con il suo sforzo di uscire dalla logica dell’assistenza e del pacco viveri per promuovere un’educazione all’uso sensato delle risorse. In fondo la famiglia è un’unità anche economica, e la gestione delle risorse è parte importante del suo equilibrio, specie in periodo di crisi. Famiglie che aiutano altre famiglie ad adottare stili sobri di consumo, e a collaborare perché i benefici di questo modello si estendano il più possibile, sono certamente un esempio da imitare.

Tanti gli esempi di creatività ispirata da uno sguardo sollecito illuminato dal volto di Gesù. Tanti altri quelli ancora da a scoprire, valorizzare, imitare. E poi c’è tutto il versante della trasmissione della fede, dove emerge la comprensione di un fatto semplice ma fondamentale: se in nome dell’efficacia nel passato si sono separate le diverse “pastorali”, oggi è più che mai necessaria una loro ricomposizione. E la famiglia, snodo di generazioni e luogo di alleanze, è il nucleo naturale attorno al quale avviare questa ricomposizione, in particolare tra pastorale familiare e pastorale giovanile (ma anche quella sociale e del lavoro), come è stato fatto a Cremona, Fermo, Piazza Armerina, ma certamente anche in tante altre diocesi. Se la famiglia è la prima agenzia educativa, è anche il luogo principe di educazione alla fede. E come tutti i luoghi educativi, ha sempre bisogno di ri-educarsi essa stessa, in un cammino condiviso. Solo così potrà farsi testimone credibile della “buona notizia”, anche su se stessa, e continuare – come ha detto Papa Francesco nella veglia – «a essere una scuola senza pari di umanità, contributo indispensabile a una società giusta e solidale». E, oggi, sempre più indispensabile per rispondere alla domanda: cosa significa essere umani?

da Avvenire, 17 ottobre 2014


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